Perché ci interessiamo ai nanotubi?§

Innanzitutto, i nanotubi ci interessano per se stessi: a prescindere dall'esistenza di un'utilità pratica (leggi: profittevole/industriale), è proprio interessante creare dei materiali nuovi e studiare le conformazioni possibili della data struttura, delinearne la chimica. In secondo luogo, da tutti i materiali con caratteristiche peculiari emerge prima o poi una qualche applicazione, e questo proprio a causa della struttura anomala. Accade a determinate condizioni, è chiaro, tra cui una capacità di sintesi tale da garantire studi diffusi.

Una delle applicazioni più interessanti dei nanotubi risiede nella loro capacità di agire da "recipienti molecolari", cioè di confinare al proprio interno delle molecole più piccole. In chimica supramolecolare, in questi casi si parla di "host". Tra gli host più famosi troviamo le ciclodestrine, che sono largamente impiegate in ambito farmaceutico per modificare il rilascio dei farmaci, mascherarne il sapore, proteggerli da ambienti chimici aggressivi durante la somministrazione ecc.

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struttura di una ciclodestrina

A differenza di ciclodestrine, calixareni o eteri corona, i nanotubi hanno una lunghezza che va da qualche centinaia di nanometri a svariati micron. Insomma, pur avendo un diametro di pochi nanometri come gli altri host, i nanotubi sono lunghi, per l'appunto.

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Norman, L.T., Biskupek, J., Rance, G.A. et al. Synthesis of ultrathin rhenium disulfide nanoribbons using nano test tubes. Nano Res. 15, 1282–1287 (2022)

I nanotubi più studiati sono costituiti da una rete di carbonio (sp2), legati covalentemente fra loro. Questo conferisce loro una straordinaria resistenza, sia meccanica (molto superiore all'acciaio), sia termica (non si degradano all'aria sotto i 700°C). Trattandosi di un solo foglietto di atomi di carbonio, il nanotubo è chimicamente inerte ed anche straordinariamente sottile, a tal punto da consentirci di vedere attraverso per mezzo di particolari microscopi elettronici a trasmissione (HRTEM).

Quelle sopra sono tutte ottime premesse per buttare altre molecole dentro i nanotubi e costringerle a reagire tra loro all'interno di un ambiente chiuso, che è uno dei metodi più efficaci per manipolare le sostanze in nano-scala o, addirittura, individualmente. In combinazione con altri dispositivi come il microscopio citato sopra, i nanotubi possono rivelarsi utili in chimica analitica, in particolar modo per la caratterizzazione teorica dei profili di reazione di altre sostanze (al variare della temperatura o di altri parametri).

Il fatto che il tubo non reagisca chimicamente con le sostanze al suo interno non vuol dire che sia ininfluente, anzi: il solo fatto di instaurare con esse delle deboli interazioni elettrostatiche può influenzare il profilo delle reazioni che si svolgono al suo interno. Qui si palesa un problema all'orizzonte: se cambia il profilo di reazione delle sostanze guest (ospitate dall'host), allora possiamo anche ottenere dei prodotti inattesi a rese del tutto differenti rispetto alla classica reazione in soluzione! Non buttiamo il bambino con l'acqua sporca: vorrà dire che i chimici dovranno tenerne conto nei calcoli e/o cercare di limitare quest'influenza. D'altra parte, quello che è un problema per gli analisti si palesa come un'opportunità per i sintetisti.

Il fatto che un tubo abbia dimensioni nanometriche non vuol dire che si debba operare in serie, poco alla volta: guardando alla sintesi preparativa, nessuno ci vieta di far scorrere litri di reagente in matrici di nanotubi e svolgere così molte reazioni in parallelo. Certo non sarà immediato come versare acqua in un imbuto, ma un approccio del genere lo ritroviamo già in catalisi con strutture nanoporose, tipicamente metalliche, quindi c'è motivo di credere in applicazioni dei nanotubi di carbonio come nanoreattori.