Piccola storia di un deodorante innocente che non lo era
Mi sono imbattuto in un prodotto cosmetico che mi dicono essere piuttosto famoso, un deodorante bio, vegano, prodotto senza l'impiego di petrolio (packaging incluso) che dichiara di utilizzare solo ingredienti "innocenti al 100%". Innocenti... questa parola ha conquistato la mia attenzione, quindi mi sono fiondato sul sito.
Ma aspettate un momento: prima di parlare del sito è meglio fare una velocissima digressione sui deodoranti.
Gli animali puzzano.
Tu sei un animale, quindi puzzi.
I deodoranti servono a fare meno puzza.
La puzza deriva dall'attività di alcuni batteri.
I batteri responsabili della puzza odiano l'ossigeno.
Perché i batteri proliferino è fondamentale la presenza di acqua.
Nelle ascelle arriva poca aria (ossigeno) e ci sono molte ghiandole sudoripare (molta acqua), perciò così si spiega come mai facciano più puzza di altre parti del corpo.
Strategie più comuni per evitare la puzza:
- Ostacolare la proliferazione batterica:
- Eliminare l'acqua, cioè impedire la sudorazione;
- Utilizzare sostanze antibatteriche;
- Coprire gli odori con dei profumi.
Sono stato rapido, no?
Come vi dicevo, mi sono fiondato sul sito il quale mi ha sin da subito accecato con il suo font in finto corsivo per bambini di prima elementare; sorprendentemente, non è stata la cosa più atroce, perché è stata un'esperienza alla fiera delle trovate di marketing più subdole che esistano (certificato).
Ingredienti§
Iniziano subito col dire cosa il prodotto NON contiene, cioè stilando implicitamente una lista di ingredienti "colpevoli": alluminio e parabeni. Non si afferma esplicitamente che questi prodotti siano tossici, ma sostengono di evitarli nel loro prodotto perché i loro ingredienti sarebbero, appunto, 100% innocenti. Strategia tanto efficace quanto da bastardi senza ritegno.
E che cosa conterrebbe di tanto miracoloso questo prodotto? Non l'alluminio, ma lo zinco e l'argento. Ditemi voi perché mai lo zinco sarebbe più "innocente" dell'alluminio perché a me sfugge.
Confezione§
Plastica, sì, ma ottenuta esclusivamente da fonti vegetali bio, mica dal petrolio. Peccato che questo non significhi né che la plastica sia riciclabile al 100%, né significa che non abbia un impatto ambientale inferiore ad un prodotto corrispettivo ottenuto dal petrolio. Il fatto che quelle piante siano "bio" significa anche che sono ottenute con metodi a rese più basse, cioè serve più terreno per produrre lo stesso quantitativo di vegetale che con metodi "non bio". Questo significa che stanno sottraendo terreni a coltivazioni o foreste per fare i tubetti di plastica per deodorante. Era meglio il petrolio? Non per forza, ma non è detto che sia meglio. Il fatto che ci sia la parola "bio" o "vegetale" non lo rende un prodotto a impatto zero, poiché l'impatto zero banalmente non esiste.
Spedizione§
«Sì, produciamo CO2 perché dobbiamo spedire, ma ne abbiamo sottratta con le piante che usiamo per la confezione, quindi il totale è "un amabile e tondo zero (certificato)"».
MA CERTIFICATO DA CHI? E questa parentesi ritorna un po' ovunque in tutto il sito, spesso a corredo di informazioni vere (come ad esempio l'attività antibatterica dell'argento), ma senza mai dire chi certifichi cosa.
In conclusione non dico che sia un prodotto inefficace, anzi magari funziona anche bene, ma il fatto che sia venduto in tubetti di plastica di origine vegetale ed avvolti da una scatola di cartone riciclato non lo rende a impatto zero, né lo rende migliore di altri prodotti industriali in automatico. Sicuramente con un reparto marketing così non lo definirei innocente.
Commenti§
Scriveva Matteo Degrassi il 7 settembre 2020:
Non ho mai badato troppo agli slogan, essendo chimico mi rendevo perfettamente conto che le cose di rado sono semplici come il marketing ruggente le dipinge. Poi un giorno ascoltai, durante un intervista ad una produttrice di piastrelle ecosostenibili, una frase che ha cambiato tutto il mio modo di vedere i prodotti derivati dal petrotio sugli scaffali dei supermercati. La frase faceva tipo "Noi non usiamo solventi derivati dal petrolio, perché la sua estrazione oltre che danno per l'ambiente é causa di conflitti. Non lo facciano perché non vogliamo sostenere la guerra"; quindi ora quando prendo in mano un prodotto confezionato nella plastica lo guardo e penso "quante vite ed ecosistemi sono stati rovinati perché io potessi avere una stupida confezione di plastica attorno alle mie carote?" Da allora con ancora più attenzione di prima evito o limito quei prodotti derivati dal greggio, tenendo conto anche delle altre variabili in gioco cui anche tu hai accennato
Scriveva Zwitterio lo stesso giorno, in risposta al commento precedente:
Trovo che sia una riflessione assolutamente azzeccata, ma il punto cui volevo arrivare è che non basta presentarsi sotto spoglie ambientaliste e dire di "tenerci" perché il proprio impatto ambientale sia nullo.Non basta stampare delle piante su una confezione verde. Non basta spacciarsi per "innocenti". L'impatto zero arriva col consumo zero, punto. Promettere alle persone dei prodotti a impatto zero significa inculcare loro nella testa che basta spendere un po' di più per rimuovere il peso del consumo dalla coscienza. Significa indurli a consumare, a patto che si consumi in un certo modo mentre a mio avviso, vista l'impossibilità di tenere a mente tutte le variabili per ogni prodotto, la soluzione più efficace è la seguente: acquistare poco e, quando possibile, non acquistare assolutamente niente. Dovendo proprio acquistare, sempre meglio orientarsi sul prodotto vicino piuttosto che su quello "bio" prodotto dall'altra parte del mondo. Inoltre far passare l'idea che certi prodotti siano tossici quando non è assolutamente vero è un modo molto subdolo di ancorare i potenziali clienti al proprio prodotto.
Di nuovo Matteo, in risposta:
Assolutamente d'accordo, credo che a sua volta questo faccia parte di un grande meccanismo culturalmente tossico. Una volta una amica mi disse che il consumismo capitalista é come un blob capace di inglobare ogni cosa per trasformarla in un prodotto di massa. Disse che avrebbe assimilato anche le visioni alternative (che a noi piacevano) e le avrebbe storpiate per farle diventare un brand di successo, ed in fede mia questa predizione non si é mai rivelata errata.
Infine Zwitterio, sempre in risposta a Matteo e sempre nella stessa giornata:
Sono d'accordissimo con la tua amica che ha spiegato in breve quel che io credo da moltissimo tempo. Però questo non significa che la gente sia impotente dinnanzi a queste meccaniche, anzi; significa solo che prima è necessario riconoscerle così da poter poi immunizzarsi contro quel marketing che ti spinge al consumo sempre e comunque. Allo stesso modo è necessario riconoscere le insinuazioni basate sul nulla a proposito della tossicità di questo o quel prodotto. Corretta informazione e consumo consapevole, secondo me, vanno a braccetto.
La conversazione di quel giorno, avvenuta sulla piattaforma per i commenti di Telegram ed ancora consultabile sulla piattaforma originale a questo link ebbe fine con questo commento.
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