Ormai si è polarizzato anche il discorso sull'app Immuni: da una parte chi non si preoccupa minimamente della gestione dei dati perché "tanto sono già in mano a Facebook, Google..." e che sacrificherebbe a qualunque altare ogni forma di libertà possibile purché possa qualcuno trasmutarla in un decimale percentuale di incremento di sicurezza. Dall'altro chi drammatizza con un "vogliono controllarci, si salvi chi può" del tutto ingiustificato.

Preoccuparsi per le libertà è importante sempre, anche (se non soprattutto) nei momenti di emergenza. Sulla gestione dei dati, poi, dobbiamo darci una ripigliata perché è già da anni che abbiamo perso il controllo. Quindi, prima ancora di cominciare una diatriba al riguardo, bisognerebbe capire di cosa stiamo parlando:

  • Quest'app potrebbe effettivamente aiutare qualcuno? Se sì, chi? Come? Ci sono alternative? Qual è il razionale alla base? Ancora queste sono domande senza risposta.

  • Chi controllerebbe i dati? Attraverso quale sistema? In che modo vengono criptati? Dove vengono storati? Altre domande senza risposta chiara.

Su queste basi nessuno dovrebbe muovere un dito, nemmeno per scaricare un'app da uno store.

I quattro punti fondamentali§

Questo articolo su Esquire tratta la questione #privacy in maniera intelligente. Secondo l'autore, un'app come Immuni dovrebbe:

  1. Minimizzare l'accumulo dei dati e decentralizzarlo il più possibile;
  2. Sfruttare il bluetooth anziché la geolocalizzazione via GPS;
  3. Essere open-source;
  4. Autodistruggersi al termine dell'emergenza.

Secondo la seguente infografica dell'ANSA, pare che almeno l'idea del secondo punto sia stata presa in considerazione sul serio.

app-immuni-ansa

Io, comunque, tengo a ricordare che l'efficacia di un'app di questo tipo dipende dall'efficacia della raccolta dei dati sul territorio (cioè dai "tamponi") e che con l'attuale prassi disorganizzata e priva di senno non servirebbe a nulla. Con tutta probabilità stiamo discutendo di aria fritta.