Gli argomenti trattati in questo articolo sono stati affrontati nuovamente in un post più recente, ritenuto più chiaro e quindi consigliato (link a seguire). Ovviamente, nessuno vi vieta di proseguire in questa pagina: in tal caso, buona lettura :)

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A prima vista, gli obiettivi della nano-chimica non sono poi tanto differenti dalla controparte classica che conosciamo tutti; consistono in:

  1. Studiare le strutture
  2. Definire le caratteristiche chimico-fisiche
  3. Esercitare un controllo selettivo sulle reazioni
  4. ... Il punto più amato dagli industriali (quindi molti di voi lo coglieranno al volo ed anzi si lamenteranno mentalmente del fatto che io non l'abbia messo come primo punto, ma lo citiamo alla fine dell'articolo perché ho deciso così #professionalità)

La differenza fondamentale sta nel fatto che praticamente la strumentazione per agire in nano-scala o, addirittura, a livello della singola molecola, cambia parecchio rispetto ai metodi tradizionali (o anche rispetto alla flash-chemistry, di cui abbiamo parlato nell'articolo precedente.

Uno dei metodi più efficaci per manipolare le molecole individualmente è farlo mediante il confinamento delle stesse all'interno di "recipienti molecolari" che ospitino le singole molecole prese in esame. Diciamo quindi che la nano-chimica, da un punto di vista metodologico, può essere vista come una figlia della chimica supramolecolare, di cui in questo sito parliamo spesso perché è una figata pazzesca e su questo non c'è dubbio (hashtag #professionalità).

Negli ultimi trent'anni circa sono stati sviluppati parecchi tipi di "nano-contenitori"(gli host, nel gergo dei supramolecolari), come le ciclodestrine (famosissime), ma anche il calixareni, i cucurbiturili, le gabbie di coordinazione supramolecolari (tradotto letteralmente da "supramolecular coordination cages") e, dulcis in fundo, i nanotubi. I loro vantaggi potenziali sui sistemi precedenti sono chiari: essendo costituiti da reti di legami covalenti tra atomi di carbonio sp2, sono molto resistenti sia meccanicamente (molto più dell'acciaio), sia termicamente (non si degradano all'aria al di sotto dei 700 gradi: rispetto a una ciclodestrina qualunque non c'è storia). Anche chimicamente danno prova della loro prodezza, infatti sono davvero molto poco reattivi, il che può essere facilmente dedotto dalla loro struttura. Di conseguenza possono contenere facilmente anche processi chimici parecchio aggressivi.

Inoltre, nonostante questa resistenza su più fronti, sono pure sottili, perciò si prestano bene all'analisi mediante microscopio elettronico a trasmissione ad alta risoluzione (HRTEM), grazie al quale è possibile letteralmente osservare gli ospiti posti a reagire.

Non si creda però che i nanotubi siano dei contenitori ininfluenti, poiché chimicamente quasi inerti. Le interazioni con l'ospite esistono e, a seconda della specie chimica coinvolta, sono pure assai rilevanti. Il confinamento in nanoscala della reazione può portare a dei prodotti del tutto inaspettati, dato che cambiano le energie coinvolte nel profilo di energia potenziale della reazione. Inoltre pensate a tutte le interazioni deboli di tipo Van der Waals che si vengono a formare tra un nanotubo del diametro adatto ed un fullerene (penso abbiate presente i fullereni: sono quelle palle di carbonio, di cui la più famosa è quella con 60 atomi di carbonio, la C60)! Direte:

"ma a che diamine serve buttare dei fullereni nei nanotubi?!"

Rispondo: >"e se il fullerene fosse solo una zavorra cui è attaccata una specie reattiva mediante un linker?"

Blam, eccovi servita un'altra enorme porzione di SCIENZA™ ancora per lo più da fare. Nell'immagine di testa vedete rappresentata una specie di questo genere che attraversa un nanotubo, mentre nella seguente vedete quella stessa molecola ma in 2D:

Fullerene funzionalizzato

È giunto infine il momento di rivelare il punto (4): uno degli obiettivi massimi della chimica è ovviamente la sintesi preparativa e, anche se a prima vista reazioni su nanoscala possono apparire del tutto inutili, in verità vi basti pensare alla resistenza ed alla versatilità dei nanotubi per adottare subito la giusta prospettiva: è sicuramente possibile creare delle matrici di nanotubi attraverso cui far scorrere litri di reagente e quindi ottenere elevate quantità di composto. Certo non sarà immediato e non sarà sufficiente un imbuto di plastica, ma un approccio del genere è già stato utilizzato e viene impiegato in catalisi con strutture nanoporose, tipicamente metalliche, per cui si potrebbe prendere ispirazione finché possibile da un'area già abbastanza sviluppata ed impiegare i nanotubi non per scopi analitico-teorici, ma in qualità di nano-reattori.


Fonte: ACS Nano: Carbon Nanotubes From Nano Test Tube to Nano-Reactor