LISOZIMA: scoperto coinvolgimento nel dolore neuropatico
"Non ti sputo, perché sennò ti disinfetto"
Così dicono i gentiluomini quando si rivolgono ai loro avversari, facendo sfoggio della propria cultura scientifica. Eh sì, perché come sa bene il nostro amabile dialogante, la saliva contiene lisozima, un enzima antibatterico volto a garantire al nostro apparato digerente una primissima fase di disinfezione. Ma non è tutto qui. Il glicobiologo Avadhesha Surolia, che lavora all'Indian Institute of Science, ha notato una correlazione sospetta tra i livelli di lisozima ed i pazienti che soffrono di dolore neuropatico, quindi il suo team ha dato inizio alla consueta carrellata di esperimenti che si fanno in questi casi. Si sono presi dei ratti e topi con una forma di dolore neuropatico e:
- Su un primo gruppo si è indotta una espressione maggiorata di lisozima;
- Su un secondo gruppo si è soppressa del tutto l'espressione di lisozima;
- Su un terzo gruppo si è somministrata una sostanza inbitrice del lisozima (chitobiosio).
Cosa si è visto?
- All'aumentare del lisozima aumenta il dolore;
- L'assenza di lisozima comporta una riduzione del dolore;
- Inibire il lisozima comporta una diminuzione del dolore. Visto il risultato della soppressione, ce lo si poteva aspettare, ma non era certo detto.
Ne deduciamo che inibire (in un modo o nell'altro) il lisozima potrebbe essere un'ottima strategia complementare per il trattamento farmacologico del dolore neuropatico. In secondo luogo è chiaro che ci deve essere un meccanismo biochimico dietro questa azione e che comprenderlo potrebbe aiutarci a trovare ulteriori terapie. E quale sarà mai, questo meccanismo? Visto che l'inibitore pare bloccare il dolore, si potrebbe pensare che questo sia legato all'attività catalitica dell'enzima, ma non è così. Il gruppo di ricerca indiano, infatti, ha isolato il dominio proteico responsabile della catalisi e lo ha testato in vitro, appurando che non si tratta del responsabile. Questo vuol dire che l'attività dell'inibitore dipende non tanto dal blocco della tasca enzimatica, quanto più dal generale cambio di conformazione della proteina. Si ipotizza che il lisozima agisca costituendo un dimero con un altro agente, l'annessina 2A; questo dimero poi andrebbe ad attivare un recettore del sistema immunitario chiamato TLR4 (Toll-like receptor 4), del quale conosciamo già il ruolo di promotore della neuroinfiammazione e quindi anche del dolore neuropatico. Questo meccanismo, per quanto verosimile e già suggerito da vari test in vitro, va comunque validato, prima di essere preso per definitivo.
Surolia fa notare pure che i livelli di lisozima sono stranamente elevati anche in persone con Alzheimer, Parkinson, sclerosi multipla e altre malattie neurodegenerative, quindi approfondire la questione potrebbe tornare utile anche nelle terapie per queste altre patologie.
Fonte: c&en
Piccolo poscritto sul dolore neuropatico: si tratta di una brutta bestia perché dipende da delle lesioni nervose, le quali determinano delle depolarizzazioni patologiche nei neuroni che generano e conducono il segnale dolorifico. Trattandosi di una patologia cronica e di fatto incurabile per via chirurgica, le terapie sono inevitabilmente croniche a loro volta, per cui a prescindere dall'efficacia del farmaco si sviluppano forme di tolleranza. I farmaci adoperati sono quelli appartenenti alla classe degli oppioidi, tanto bistrattati e temuti quanto fondamentali e super-efficaci, se utilizzati razionalmente. Ai problemi appena citati vanno ad aggiungersi gli effetti indesiderati e quindi si rendono necessari degli altri farmaci che ne riducono l'entità sul lungo periodo, come il naloxone o altri ancora più recenti (vedi Naldemedina).
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