La Medicina Tradizionale Cinese minaccia la sopravvivenza di molte specie animali in Africa
In Cina ogni anno vengono importate carcasse di tantissimi animali di varie specie, poiché i cinesi sono bramosi di ingredienti presumibilmente "utili" nella loro medicina tradizionale. Caso eclatante è quello dell'asino, il cui import/export vale circa 2 miliardi di dollari (approssimazione per difetto) e che, proprio per questa ragione, stanno diventando sempre meno numerosi sul territorio (e conseguentemente molto più costosi per gli agricoltori della zona). Bisogna tenere a mente che, per ragioni identiche che hanno a che fare col mercato cinese, alcune specie di tigri, di rinoceronte, di cavalluccio marino (e altro) sono al momento sull'orlo dell'estinzione. Per evitare il perpetuarsi di questo insensato eccidio, la Nigeria ha vietato le esportazioni di asini, ma sono ancora tanti i paesi che invece consentono la caccia indiscriminata, poiché evidentemente molto remunerativa. Il perché di questa "fame d'asini" è presto detto: gli animali vengono depredati della propria pelle, la quale viene bollita per preparare l'ejiao, una specie di elisir in gelatina che, secondo la medicina tradizionale cinese, curerebbe di tutto, cominciando dalle ferite e sconfinando sino al cancro.
Come al solito quando si parla di panacee, non esiste uno straccio di prova a sostegno di una simile attività farmacologica, però la carneficina va avanti nel disinteresse generale e nella tolleranza degli occidentali per queste barbariche pratiche, che vengono giustificate dal fatto che "la tradizione qualche volta c'azzecca" (il virgolettato è una personale sintesi di chili e chili di discorsi inconcludenti fatti qua e là in giro per la rete).
Ed il governo cinese? Investe sulla "tradizione".
E l'OMS? Persiste nel non supportare la medicina tradizionale cinese, ma fa al contempo le capriole per evitare di condannarle. Se volete approfondire qui c'è un editoriale di Nature che affronta il problema da un punto di vista medico: Nature
E qui un articolo del Guardian che parla delle ripercussioni sugli agricoltori di sussistenza del luogo: Guardian
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