Avete presente la medusa cubica? Se non l'avete presente nessun problema, ve la piazzo in copertina. Spesso la mostrano in quei documentari con gli animali più strani e pericolosi al mondo, il cui 80% è sempre stranamente localizzato in Oceania e dintorni, perché sono bei posti "ma, Signora mia, non ci vivrei".

Il fatto è che questa aestethically pleasing medusa (conosciuta tra le fila nemiche come Chironex fleckeri) è estremamente velenosa: solo nelle Filippine si stimano 500 morti all'anno a causa di questa scatoloide gelatina vivente. Una sua puntura causa necrosi qua e là, dolore allucinante e, nel giro di pochi minuti, è in grado di portare alla morte un individuo. Certo, succede solo nei casi più gravi, ma già per la potenzialità e per il dolore, se abitassi da quelle parti, il bagno me lo farei al massimo in piscina; ma c'è dell'altro: non abbiamo un antidoto disponibile, anche perché non è ben chiaro quale sia il meccanismo alla base di questa potente azione tossica. Si pensava, in articoli precedenti che le tossine agissero come porine sui globuli rossi, causandone l'emolisi. Questo meccanismo pare confermato, ma la questione sembra ancora più complessa. Teniamo a mente che il veleno è composto da più di 250 proteine, perciò qualche interazione in più, rispetto a quella di singole tossine, ce la aspettiamo.

In questo recente studio è stato eseguito uno screening dei componenti richiesti alla cellula "vittima" del veleno di medusa per subire il danno da veleno. A tal fine si è sfruttato un vettore lentivirale per introdurre CRISPR-Cas9 in delle linee cellulari umane (nello specifico si tratta di cellule HAP1) ed ottenere svariate versioni knockout mancanti di questa o quell'altra proteina (sono stati ottenuti milioni di cellule, ognuna delle quali mancante di circa 9000 geni). A queste cellule, poi, è stato somministrato del veleno per 14 giorni. A questo punto si è visto, per ogni pool di varianti knockout, quali fossero sopravvissute in maniera statisticamente significativa. Di queste è stato analizzato il DNA e si è risaliti a quali geni e quindi quali proteine fossero stati soppressi e soppresse. Incrociando i dati ottenuti da più pool resistenti è possibile ridurre a piccoli gruppi di geni il risultato, scovando le proteine target ipotetiche come in una partita a battaglia navale. Così si è visto che tra i pool più resistenti ve ne era uno che è stato privato di una proteina di membrana quindi coinvolta innegabilmente nel processo, cioè un trasportatore ATPasico di ioni calcio, ATP2B1.

La deplezione di ATP2B1 ha aumentato con successo la resistenza al veleno anche in linee cellulari differenti (HeLa) e questo conferma che come minimo vi è un coinvolgimento nel meccanismo citotossico. In un'ottica di drug discovery, vogliamo ottenere un farmaco in grado di indurre un aumento di questa resistenza cellulare al veleno in maniera simile alla deplezione, quindi è intuitivo che un inibitore del trasportatore possa tornare utile. E infatti la caloxina 1B3 (che agisce sul primo loop della proteina) ha bloccato con successo sia il dolore che la necrosi durante la sperimentazione sui topi. Certo, nonostante sia acclarato che ATP2B1 sia coinvolto nel meccanismo di morte cellulare, il fatto che sia anche direttamente coinvolto nella generazione dello stimolo dolorifico va dimostrato.

Dato che il trasporto di calcio è spesso un target nelle strategie farmacoterapeutiche antipertensive, con una comprensione più profonda del meccanismo d'azione, è possibile ipotizzare che si possano sfruttare componenti del veleno per sviluppare nuovi antipertensivi biologici che funzionino modulando ATP2B1.

Oltre ad ATP2B1 sono stati individuati altri target importanti, come il colesterolo di membrana e la sfingomielina, ma per capire il ruolo di questi vi rimando all'articolo principale, altrimenti non finiamo più. In ogni caso, non male quello che si può tirare fuori da questi screening lenti-CRISPR, no?


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Cover: courtesy of KELVIN AITKEN/VWPICS VIA AP IMAGES