Se c'è qualcosa di cui sappiamo sempre pochissimo, è come diamine fosse fatto (proprio chimicamente) l'universo ai suoi albori.

"Iniziò tutto con il Big Bang..."

ma tagliando corto poi ci fu un mare di plasma (quindi ioni in uno stato fisico non assimilabile né a quello solido, né a quello gassoso, né a quello liquido) che, raffreddandosi, diede vita ai primi atomi. Questi atomi dovevano essere di elio, in base ai modelli matematici e relativi simulatori che le astro-persone hanno messo a punto finora.

Come sanno anche gli studenti delle superiori che per la prima volta si affacciano ad una tavola periodica, l'elio è un elemento piuttosto inerte, ma questo non significa che non possa reagire con niente e nessuno. In uno stato tanto primordiale era fuori discussione che si legasse ad atomi pesanti che sarebbero sbucati fuori solo molte supernove dopo, quindi è ovvio che il modello prevedesse la nascita di una molecolina chiamata idruro di elio, poiché la cosa più probabile era proprio che l'atomo di elio si legasse ad un protone. Il problema è che di idruro di elio non se ne trova granché in giro e soprattutto non si è stati in grado di individuarlo nelle nebulose osservabili che più si avvicinano allo stato primordiale dell'universo.

La notizia è che, finalmente, Rolf Güsten del Max Planck Institute for Radio Astronomy ha annunciato, insieme ai suoi colleghi, di avere identificato una linea spettrale caratteristica dell'idruro di elio nell'osservazione della nebulosa planetaria NGC 7027, cioè una di quelle nebulose di cui parlavamo poco sopra. Il problema è che, per qualche ragione, i dati sperimentali ottenuti con tanta fatica ci informano che la molecola è presente in concentrazioni che staccano di 3 ordini di grandezza quelle previste e questo significa che ci sfugge ancora qualcosa di rilevante. Ne consegue che una scoperta teoricamente conciliante coi modelli preesistenti in realtà spingerà i ricercatori a rivedere le proprie teorie e in fondo sappiamo che i ricercatori saranno contenti perché siamo umani ed è così che ci piace soffrire.


Fonte:

c&en

Immagine di testa: Hubble/NASA/ESA/judy Schmidt