Paul Dirac e l'Antimateria
Paul Dirac fu ingegnere, matematico, fisico teorico, uomo di poche parole, anzi pochissime. Nacque a Bristol, in Inghilterra, l'otto agosto del 1902 e lì si laureò in ingegneria elettrica.
Si trasferì quindi a Cambridge, ove visse fino al 1926, anno in cui conseguì il dottorato in fisica teorica.
Nello stesso anno:
- «sviluppò una formalizzazione della meccanica quantistica basata sull'algebra non commutativa di operatori» (Wikipedia)
- «contribuì a formulare la statistica di Fermi-Dirac, relativa ai fermioni» (W.)
Già questo sarebbe sufficiente a garantire ad un uomo il passaggio alla storia, per lo meno tra i fisici e gli ingegneri elettronici, dato che - tra le altre cose - la statistica F-D si è rivelata fondamentale per lo sviluppo dei transistor, componenti fondamentali nei circuiti elettrici, sia analogici che digitali. Ma Dirac non si fermò qui e anzi si impegnò nella formulazione di un'equazione che descrivesse l'elettrone ed il suo comportamento da un punto di vista relativistico, muovendo i primi passi a partire dai lavori di Pauli sullo spin dell'elettrone. Nel 1928 concludendo la pubblicazione della serie di articoli sull'equazione che oggi porta il suo nome, Dirac "scoprì" il concetto di antimateria, poiché ebbe la geniale intuizione di considerare fisicamente rilevanti le soluzioni dell'equazione che descrivevano l'elettrone come una particella con energia negativa (e carica opposta).
Quattro anni dopo, Carl Anderson dimostrò sperimentalmente, studiando i raggi cosmici, l'esistenza degli "anti-elettroni", come era solito chiamarli Dirac, ossia dei positroni.
Oggi ne discutiamo come se l'esistenza dell'antimateria fosse cosa del tutto scontata, ma non lo era negli anni Venti e non fu così semplice accettare le conseguenze dell'equazione che successivamente il fisico Frank Wilczek, #nobel in fisica del 2004, avrebbe definito "d'una bellezza sconvolgente". Dirac, al fine di giustifare le soluzioni ad energia negativa, propose che il vuoto fosse riempito con una quantità abnorme, infinita, di elettroni ad energia negativa, il cosiddetto mare di Dirac. Una qualunque lacuna in questo vuoto sarebbe perciò apparsa come una particella carica positivamente, avente energia positiva. Per questa ragione si parla di modello dei buchi.
Ma ricordiamoci che si trattava dei primi anni Venti: se qualcuno ai tempi v'avesse nominato delle "particelle con carica positiva", spontaneamente avreste pensato al protone; lo stesso fece in un primo tempo lo stesso Dirac. Robert Oppenheimer però obiettò che se quella particella fosse stata il protone, essa avrebbe potuto poi interagire distruttivamente con l'elettrone e quindi il tessuto stesso della materia sarebbe stato compromesso. Anche Wolfgang Pauli era scettico e provò che la particella positiva, affinché la teoria fosse valida, non poteva possedere una massa differente da quella dell'elettrone, cosa in contraddizione con la realtà sperimentale, fino a quel momento, dato che di particelle simili non s'era mai sentito parlare. Ci si cominciò a chiedere se l'equazione stessa non fosse sbagliata o, se non scorretta in termini matematici, per lo meno infondata nell'interpretazione fisica.
Nel 1931 Dirac si riferì per la prima volta all'anti-elettrone, obiettando a chi gli palesava la totale assenza di dati sperimentali a supporto, che esso potesse non essere rilevabile a causa di una sua immediata formazione-distruzione data dal contatto con un vicino elettrone. Però, pure ammettendo la possibilità di produrre degli anti-elettroni in laboratorio, non incentivò la ricerca della particella, né diede consigli agli sperimentalisti sul come riuscire nell'intento o riconoscere la particella.
Nel 1932 Dirac era negli States, mentre Robert Millikan a Cambridge illustrava i risultati di Anderson sulle particelle individuate nei raggi cosmici, tra cui una che sembrava un elettrone, ma che curvava in maniera opposta in un campo magnetico. Nessuno associò questa anomalia alla teoria di Dirac. Nel frattempo a Cambridge lo scetticismo in proposito cresceva e Bohr arrivò persino a chiedere allo stesso Dirac se credesse "a tutta quella roba", in riferimento alla teoria da lui elaborata. Dirac rispose semplicemente dicendo che nessuno era stato ancora in grado di esprimere argomenti sufficientemente forti contro di essa. D'altra parte, secondo Graham Farmelo, che su Dirac ha scritto una biografia interessantissima (che potete acquistare qui), lo stesso Dirac col tempo si era persuaso che forse davvero non esistesse alcun anti-elettrone.
Il 2 agosto del 1932, il fisico Carl David Anderson trovò la prima chiara scia di positroni vera e propria, ma nessuno ancora pensò di ricollegare questi risultati sperimentali all'equazione di Dirac.
Bisognò aspettare l'autunno dello stesso anno affinché il fisico britannico Patrick Blackett mostrasse pubblicamente i dati di Anderson in un evento cui presenziò lo stesso Dirac. Eppure Dirac non disse nulla. Il silenzio fu rotto dal fisico russo Peter Kapitsa, che non aveva nemmeno mai sentito parlare esplicitamente di anti-elettroni, e che pur tuttavia, come riporta Farmelo, esclamò:
"Allora, Dirac, perché non lo metti nella tua teoria? Elettroni positivi, eh!"
Dirac rispose brevemente, sostenendo che "gli elettroni positivi erano già stati messi nella teoria da molto tempo", ma probabilmente non insistette perché pensò che le scie di positroni nell'immagine fossero solo una sorta di miraggio, un errore di valutazione.
La prima vera connessione tra il modello dei buchi ed il positrone di Anderson fu tracciata pubblicamente da Blackett, che mostrò delle immagini sensazionali di coppie elettrone-positrone ad un incontro della Royal Society a Londra, spiegando come fossero incredibilmente aderenti al modello dei buchi proposto da Dirac. Subito a seguire, i giornalisti si catapultarono ad intervistarlo. Nel frattempo Dirac, che si trovava nello stesso edificio, si disse "non disponibile a rilasciare commenti".
Secondo Farmelo, Dirac realizzò solo successivamente che la responsabilità di questo ritardo nella scoperta del positrone fosse principalmente sua; per omissione, si intende. Avrebbe infatti potuto sollecitare maggiormente gli sperimentalisti e dare delle indicazioni su come ricercare il positrone. Se l'avesse fatto, probabilmente il positrone sarebbe stato individuato in "un solo pomeriggio", a detta di Anderson. Quando poi fu chiesto a Dirac come mai non si impegnò in tal senso, egli rispose in due parole: "pura codardia".
Ciononostante, Dirac in altre occasioni si dimostrò meno duro con se stesso ed affermò d'aver predetto il positrone, nonostante non tutti fossero oramai d'accordo. Secondo Blackett, "Dirac lo predisse quasi, ma non del tutto". Non c'è dubbio però che il ruolo di Dirac nell'anticipare la scoperta del positrone fu, citando Farmelo, "una delle più sensazionali conquiste della scienza".
Farmelo conclude The Strangest Man, tornando al Dirac uomo, analizzandone il personaggio ed il genio. Esplicitamente assume che Dirac fosse autistico e spiega come i suoi tratti comportamentali fossero cruciali per il suo successo come fisico teorico. Inoltre l'ambiente che si era venuto a creare a Cambridge negli anni Venti fu il più favorevole per lui: tollerante dell'eccentricità, gli permise inoltre di provvedere con facilità ad ogni bisogno; la stessa regola che imponeva il consumo dei pasti collettivamente, garantì una minima forma di contatto sociale che altrimenti difficilmente avrebbe abbracciato. Queste circostanze insolite lasciarono che il genio di Dirac si esprimesse al meglio.
Per quanto riguarda l'autismo, fa notare Frank Close con una certa ironia, questo si pensa sia determinato da un'anomalia nella crescita del tessuto cerebrale che può manifestarsi con irregolarità visibili mediante PET (tomografia ad emissione di positroni), che è praticamente l'applicazione medica dell'antimateria di Dirac.
Fonti:
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